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Consiglio di Stato sulla spettanza del compenso revisionale in caso di recesso dal contratto di appalto per interdittiva antimafia

Consiglio di Stato sulla spettanza del compenso revisionale in caso di recesso dal contratto di appalto per interdittiva antimafia

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria – Sentenza n. 6 agosto 2021, n. 14, sulla spettanza del compenso revisionale in caso di recesso dal contratto di appalto per interdittiva antimafia

Con la sentenza n. 14 del 6.8.2021 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla questione della spettanza del compenso revisionale all’appaltatore colpito da interdittiva antimafia.

Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione richiedeva di verificare, nello specifico, come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” contenuto nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 d.lgs. n. 159/2011 che prevedono testualmente – per il caso di appaltatori colpiti da interdittiva antimafia in corso di esecuzione del contratto di pubblico appalto – che le Pubbliche Amministrazioni “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

L’Adunanza ha in merito puntualizzato come l’informazione interdittiva antimafia determini una particolare forma di parziale incapacità ex lege tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto – persona fisica o giuridica – colpito da interdittiva è precluso ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali” e, dunque, qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293).

Eccezione al suddetto principio è contemplata proprio nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 secondo cui ai destinatari del provvedimento interdittivo deve essere comunque corrisposto il valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Rispetto a tale previsione si è allora posto il problema di stabilire – con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate – se per calcolare il  “valore dei servizi già resi” debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o, invece, dell’effettivo valore economico delle prestazioni da quantificarsi tenendo conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati.

In merito, il Consiglio di Stato – richiamando i principi già affermati nella sentenza n. 23 del 2020 (laddove la medesima Adunanza Plenaria aveva evidenziato il carattere eccezionale del complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia rispetto al quale deve imporsi la regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione) – ha chiarito che le eccezioni di cui agli artt. 92 e 94 citati – che si applicano anche agli appalti di servizi e forniture – rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia, intendendosi riconoscere “al soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”.

In tale quadro, la sentenza ha precisato che le utilità conseguite – che non sono necessariamente equivalenti al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti – “negli appalti di servizi, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti” in quanto detto prezzo deve “ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione”. Quanto al limite delle “utilità conseguite”, ancora una volta, la peculiarità dell’appalto di servizi per cui è processo, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità e, per ciò solo, può “senz’altro ritenersi che il valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il prezzo contrattuale dei servizi già resi”.

Tanto premesso, con specifico riferimento al quesito posto dall’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria (ovvero se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata), i Giudici Amministrativi – rilevata la natura imperativa e la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi disciplinato dall’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 – ha concluso che “nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi”. Al riguardo l’Adunanza Plenaria ha specificato come non possa revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale e che detto compenso abbia la finalità di evitare che le oscillazioni dei prezzi comportino un ingiustificato arricchimento della parte contrattuale pubblica; pertanto – ha spiegato il CdS – “se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis”.

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