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L’esclusione dell’operatività dei criteri equitativi in tema di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione

L’esclusione dell’operatività dei criteri equitativi in tema di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato, Sez. V, 28.09.2023, n. 8568. L’esclusione dell’operatività dei criteri equitativi in tema di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione

Con la sentenza in oggetto, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi in materia di risarcimento del danno derivante da mancata aggiudicazione della gara e, in particolare, sui relativi criteri di valorizzazione e quantificazione, chiarendo che la possibilità di operare una valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 Cod. Civ. è ammessa soltanto in presenza di oggettive situazioni di impossibilità, o di estrema difficoltà, di fornire una precisa prova sull’ammontare del danno.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a pronunciarsi in merito ad un appello proposto avverso una sentenza del TAR Toscana, che aveva escluso di poter quantificare in via equitativa il mancato utile che il concorrente avrebbe conseguito con l’aggiudicazione della gara e l’esecuzione dell’appalto nella misura forfettaria indicata in ricorso (10% dell’importo a base d’asta).

Al fine di superare i rilievi del TAR, l’appellante ha rilevato che, nel caso di specie,  è necessario fare applicazione dell’art. 1226 c.c., in quanto la prova dell’esatta quantificazione del danno e, dunque, dell’utile conseguibile non sia stata concretamente possibile in considerazione dei fattori e delle voci di costo che contraddistinguono l’attività della società, sfuggendo ad una loro precisa indicazione, quali, ad esempio, i costi fissi sostenuti per affitto, salari, compensi del personale addetto alle vendite, compensi del personale amministrativo, pubblicità, marketing, etc.; i costi di acquisto dei parcometri; i costi fissi di magazzino e di logistica; i prezzi dei parcometri, che vengono calcolati secondo una media ponderale e corrisposti attraverso un sistema di fatturazione infragruppo, etc.

Ciononostante, i giudici della V Sezione hanno ritenuto di aderire al filone giurisprudenziale che ritiene non meritevole di accoglimento la domanda risarcitoria rimasta del tutto sfornita di prova in ordine alla sussistenza del pregiudizio sofferto, atteso che, in ogni caso, spetta al danneggiato, ai sensi degli artt. 30 e 40, c.p.a. e 2697 c.c., provare offrire la prova dell’an e del quantum del pregiudizio che assume di aver patito.

In particolare, la Quinta Sezione ha ritenuto di aderire e fare propri i principi già elaborati dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – Cons. Stat., Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2 -, osservando che “spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64 commi 1 e 3 Cod. proc. amm.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato che contraddistingue l’esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra nell’azione di risarcimento dei danni, per la quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697 primo comma Cod. civ.” e precisando ulteriormente che “va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché esso non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo)”.

Nel caso di specie, ai fini della quantificazione dell’utile, ad avviso della Quinta Sezione, “la società bene avrebbe potuto, come ipotizzato in astratto dal Tar, sottrarre dall’importo della sua offerta economica i costi di esecuzione della fornitura come sopra documentabili, e affidarsi, per i soli altri costi qui richiamati, di carattere fisso e generalo (affitto; salari; personale; magazzino; logistica; gestione dati) a indicazioni percentuali. Non è invece ravvisabile l’afferenza al calcolo in parola dei costi di pubblicità e marketing pure menzionati nell’appello, atteso che in una gara pubblica la ricerca della migliore offerta non è orientata dalle relative attività”.

In definitiva, pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover respingere la domanda risarcitoria, in quanto non è ammissibile procedere ad una quantificazione dell’utile di impresa mediante una valutazione equitativa, in assenza di una concreta e congrua dimostrazione dell’impossibilità – o dell’estrema difficoltà – di fornire una precisa prova sull’ammontare del danno che legittima il rimedio di cui all’art. 1226 Cod. civ. (Cons. Stato, IV, 16 novembre 2022, n. 10092; V, 27 settembre 2022, n. 8327; 23 agosto 2019, n. 5803).

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